venerdì 20 luglio 2007

Prigionia

L’unica cosa che ricordo è una violenta spinta che ricevette la mia schiena, prima di rovinare su gradini che accompagnarono la mia caduta per una decina di metri, finché l’ultimo di essi scomparve sotto di me offrendo alla mia fronte duro marmo. Mani colpevoli mi raccolsero; il resto è un frappé di congetture e curiosità.
Posso sentire i nodi legnosi della sedia sulla quale mi trovo molestarmi le membra, posso sentire il contatto di una benda rugosa che mi opprime gli occhi, posso sentire che intorno a me c’è soltanto silenzio inframmezzato dal rumore secco che produce il calpestio di un animale su foglie ingiallite e croccanti.
Non ho paura, sono solo impaziente che questa situazione di stallo abbia finalmente termine.
La gente è sospetta, gli uni diffidano degli altri ipotizzando scenari assurdi, speculando su presunti burloni e scavando fossati nell’acqua.
Ma non pensavo potessero arrivare a questo.
Adesso i passi sulle foglie sono insistenti e continui: sta arrivando qualcuno. Cerca la chiave giusta, la inserisce nella serratura e spalanca una porta i cui cardini mal oleati gemono terribilmente.
Attraverso le palpebre chiuse percepisco la luce e un ombra che si avvicina verso di me.
Il suo odore è penetrante ma al tempo stesso delicato, le sue mani mi slacciano il nodo della benda. Lascia cadere la stoffa silenziosa e le mie palpebre si schiudono leggermente, mentre uno spicchio di sole ferisce i miei occhi, li stuzzica e poi gli permette di guardare.
Ha in mano il mio spadino con cui mi accarezza il mento; è una donna.
Con l’improvvisa riscoperta della vista, ho trascurato il senso dell’udito. I passi al di fuori della piccola stanza si sono moltiplicati, sembra che una piccola folla si stia dirigendo qui. Entrano tutti in silenzio, sono eccitati dalla mia presenza e dall’avermi finalmente in pugno. In ordine, uno alla volta, varcano la soglia e occupano l’ambiente, sedendosi gli uni accanto agli altri, lasciando un piccolo cerchio vuoto intorno a me. Si sono disposti come in un piccolo anfiteatro: loro sono il pubblico; io l’attore principale.
La donna abbandona lo spadino sul pavimento impolverato, e si avvicina protendendo le mani dietro la mia nuca, cercando dei lacci e trovando la cerniera della mia maschera.
E allora che lo spettacolo abbia inizio.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Si, probabilmente lo e

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie